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Lavoro

Il ministro Orlando: riflettere sul rapporto INPS e sulle condizioni sociali

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Così il ministro Andrea Orlando, nel proprio intervento alla Presentazione del XXI Rapporto Annuale INPS

Nel corso del suo intervento di ieri, Lunedì 11 luglio 2022, il ministro del Lavoro e della Politiche Sociali Andrea Orlando ha affermato che “il rapporto annuale Inps è qualcosa che va oltre una mera rendicontazione numerica. È un’analisi profonda del Paese che offre dati essenziali da conoscere e sui quali riflettere attentamente. Ci riporta innanzitutto in maniera plastica quelle che sono le condizioni materiali, sociali e anche psicologiche del nostro tessuto sociale”.

Questo il testo dell’intervento del ministro Orlando.

Rivolgo il mio cordiale saluto al Presidente della Repubblica, al Presidente della Camera, ai parlamentari, ai vertici dell’INPS, al Presidente Tridico, al direttore generale Caridi, a tutte le autorità presenti.

Il rapporto annuale Inps è qualcosa che va oltre una mera rendicontazione numerica. È un’analisi profonda del Paese che offre dati essenziali da conoscere e sui quali riflettere attentamente. Ci riporta innanzitutto in maniera plastica quelle che sono le condizioni materiali, sociali e anche psicologiche del nostro tessuto sociale.

Ecco perché l’occasione che abbiamo oggi ha un’importanza ben superiore a quella che noi stessi siamo portati ad attribuirle.

Il complessivo quadro di tenuta del sistema del welfare, riportato con dovizia di particolari nel rapporto, è anche il risultato dello sforzo che, come Paese, abbiamo profuso nell’affrontare la crisi legata all’emergenza sanitaria. Purtroppo, la guerra in Ucraina e i processi di transizione in atto nell’economia non ci consentono di stare tranquilli e il tema del contenimento e del contrasto alle diseguaglianze e ai rischi di esclusione sociale sono sempre più centrali.

Quella del PNRR attraverso il Next Generation EU è stata una risposta importante, dell’Europa, ad un problema comune ed è un paradigma da non abbandonare, anzi, da consolidare, soprattutto in questa fase.

In questo quadro emergenziale che ci accompagna da oltre due anni, all’INPS, oltre ai suoi tradizionali compiti, è stata affidata la responsabilità di soggetto attuatore delle misure di sostegno varate dal Governo.

In questa occasione voglio ringraziare, ancora una volta, tutto il personale dell’Istituto che, in un contesto di grande criticità, ha continuato ad assicurare servizi e prestazioni; personale che rappresenta un patrimonio di professionalità e anche di valori. Perché il più grande ente pubblico di welfare d’Europa è tale grazie anche al loro prezioso lavoro. Un lavoro che si arricchirà e in parte si è già arricchito di nuove professionalità con i nuovi concorsi.

L’Istituto ha al suo attivo più di 400 aree di servizio per oltre 45 milioni di utenti e si è dotato nel frangente pandemico di un progetto di innovazione e di sviluppo digitale dei servizi, capace di fare da traino per tutta la pubblica amministrazione. Ma sul digitale voglio condividere con voi un supplemento di riflessione. I processi di transizione vanno accompagnati e non possiamo trascurare che esistono delle criticità anche per l’utenza. Quello che va assolutamente scongiurato è che un processo di modernizzazione finisca per allargare fasce di esclusione o che si possano inserire forme di intermediazione impropria.

Per questo abbiamo dato vita alla società 3i, la prima software house pubblica, incentrata sull’utilizzo dei dati e lo sviluppo di software per generare valore pubblico, proprio in un ambito delicato come quello del welfare. La Professoressa Shoshana Zuboff nel suo monumentale studio “Il capitalismo della sorveglianza” fotografa meglio di chiunque altro la centralità della proprietà e dell’uso dei dati. Da questo punto di vista si può apprezzare anche il valore democratico di questa iniziativa.

Insomma, con l’INPS, l’INAIL e L’ISTAT si vuole organizzare la società pubblica 3-i che ottimizzerà il percorso di innovazione e soprattutto lo internalizzerà. Per troppi anni le esternalizzazioni dell’informatica hanno reso le pubbliche amministrazioni dipendenti dalle aziende esterne.

Ecco perché si deve lavorare a un processo di integrazione digitale non fine a sé stesso, ma con un forte carattere sociale. Una piattaforma unitaria di dati socialmente sensibili che solo Inps, Inail e Istat possono realizzare è la base per la ridefinizione di un welfare che guardi al futuro e al passo con i poderosi cambiamenti in atto. Inoltre, questo processo di integrazione attraverso la Società 3I sarà anche l’occasione per l’assunzione di nuovo personale della generazione digitale che colma un oggettivo vuoto di organico della Pubblica Amministrazione.

Il rapporto annuale evidenzia luci ed ombre che hanno caratterizzato la prima fase della ripresa post-Covid in Italia.

Vi sono sicuramente elementi positivi legati ad una ripresa dell’occupazione che ci vede ritornare a livelli precedenti alla pandemia, un dinamismo delle imprese italiane, una progressiva riduzione del ricorso agli ammortizzatori sociali e alle indennità rivolte ai disoccupati.

Ma al tempo stesso emergono dati che non possono essere sottovalutati nella loro criticità di sistema.

Ciò che colpisce principalmente è il dato salariale, dove si registra un allargamento dell’area dei working poor. Persone che lavorano 10-15 ore a settimana sono probabilmente dei disoccupati o sottooccupati involontari; persone che vorrebbero lavorare di più, ma che non trovano opportunità adeguate.

I mezzi di informazione parlano di mancanza di mano d’opera nel settore dei servizi, della ristorazione e persino, più recentemente, della logistica. Manca però l’informazione sulla domanda di lavoro, ovvero sulle condizioni lavorative (orari e retribuzioni) che vengono offerte e sul perché di questa difficoltà, anche rispetto all’incidenza sul sommerso e sul lavoro nero.

Dopo l’approvazione della direttiva sul salario minimo in Europa penso che vi siano le condizioni per una intesa con le parti sociali per arrivare ad un punto di caduta positivo che tenga conto della peculiarità italiana, facendo derivare il salario minimo, comparto per comparto, dai contratti comparativamente maggiormente rappresentativi e nello specifico dal TEC.

All’interno del rapporto vi è anche una attenzione al fenomeno delle dimissioni. Condivido il principio di analisi espresso da Inps, dal momento che non ci convince l’idea di un Paese che si sta adagiando su un presunto comodo assistenzialismo. C’è un Paese che combatte, che vuole correre ed essere competitivo ma che fa i conti con situazioni inedite, con elementi di incertezza che vanno al di là dei ciclici periodi di crescita e frenata su cui eravamo abituati a ragionare. Ed è anche subentrata, dopo la pandemia, oggettivamente, una considerazione del tempo diversa da parte delle persone.

Vediamo anche un Paese in cui i beneficiari del reddito di cittadinanza non scappano dal mercato del lavoro. Infatti, si è sensibilmente ridotto il numero dei beneficiari. A maggio, infatti, i nuclei percettori risultano essere quasi 935 mila, ad aprile erano stati 1 milione e 160 mila e a maggio di un anno fa erano 1 milione e 242 mila. Per chi è occupabile stiamo rafforzando le politiche attive grazie al Programma Gol e al piano nuove competenze. Lo dico anche alla luce del recente rapporto annuale Istat in cui si è evidenziato come tale misura di sostegno abbia evitato ad 1 milione di persone di essere risucchiata nel vortice della povertà assoluta. Ricordo che nel complesso i beneficiari di questo strumento costituiscono una platea con scarse esperienze lavorative pregresse, spesso saltuarie, anche a causa di livelli di istruzione mediamente molto bassi. Inoltre, dei 2 milioni e 125 mila attuali percettori circa 547 mila sono minorenni, 200 mila sono giovani con meno di 25 anni, 108 mila hanno più i 65 anni e 721 mila, nel complesso, sono esclusi dagli obblighi di attivazione per motivi anagrafici, per studio o disabilità.

È una platea monitorata con particolare attenzione per individuare aree di possibile ulteriore intervento dell’azione pubblica di sostegno; non solo economico ma di reinserimento sociale. Gli indizi che troviamo nel rapporto suggeriscono che questi nostri concittadini che per varie ragioni vivono in condizioni disagiate e grazie alla percezione del sussidio sono riusciti ad acquisire maggior serenità rispetto al futuro.

Quindi, il Rapporto è un documento che in qualche modo fa anche giustizia rispetto a narrazioni che spesso alterano il dibattito pubblico.

Ad esempio, la paventata esplosione dei licenziamenti alla fine della fase emergenziale non c’è stata, il ricorso alla cassa integrazione è ritornato gradualmente a livelli fisiologici, anche se gli elementi di incertezza ci inducono comunque ad essere prudenti. È anche per questo che pensiamo che uno strumento come Sure debba avere un carattere più strutturale.

La crisi dovuta all’emergenza sanitaria ha messo in luce come il nostro sistema di welfare fosse incompleto e impossibilitato a fornire a tutti un minimo di copertura assicurativa di fronte ad eventi inattesi. Abbiamo lavorato, attraverso la riforma degli ammortizzatori sociali, introdotta nell’ultima legge di bilancio, per estendere le tutele nel rispetto delle peculiarità dei diversi segmenti economici, sulla base di quell’imprescindibile meccanismo di universalità che caratterizza i sistemi avanzati diwelfare.

Restano, ovviamente, delle aree del mercato del lavoro su cui occorre continuare a lavorare d’intesa con le parti sociali per trovare forme di regolazione condivisa. Il documento ci richiama al tema dei riders e più in generale dei lavoratori della gig- economy, per i quali sussistono elementi di subordinazione insieme a elementi di auto-imprenditorialità. Occorre trovare la corretta cornice giuridica in cui inquadrare queste forme affinché anche questi lavoratori possano beneficiare di tutele del welfare e contribuire contestualmente al loro finanziamento. Un quadro giuridico chiaro, in grado di garantire una continuità reddituale, non serve solo a combattere il lavoro povero ma è garanzia per un futuro sostenibile.

Questo è importante perché ogni lavoratore oggi sarà un pensionato domani, e non possiamo ignorare che basse contribuzioni oggi si tradurranno anche in basse pensioni domani, tanto più in presenza di un declino demografico che ci colloca agli ultimi posti nel mondo per tassi di natalità. Sicuramente una ricomposizione del variegato quadro delle forme contrattuali potrebbe contribuire all’instaurarsi dirapporti di lavoro che costituiscano condizioni congrue sia di lavoro che di reddito, cui far conseguire l’erogazione futura di pensioni quanto più dignitose. Ma soprattutto c’è la necessità che i contratti collettivi scaduti vengano presto rinnovati.

È altrettanto chiaro che se vogliamo accentuare una funzione redistributiva del sistema pensionistico, in cui il rischio di intermittenza delle prestazioni lavorative venga ripartito su una collettività più ampia, dobbiamo essere coscienti che i lavoratori che beneficiano di una occupazione a tempo pieno e per tutto l’anno saranno solo una parte del futuro sistema pensionistico, con gli inevitabili conflitti sulla ripartizione dei costi del welfare.

Ecco perché resta centrale il tema della coesione. Il nostro è un Paese che ha bisogno di ricomporre le diverse fratture che lo attraversano, a partire da quella tra garantiti e non garantiti, dove la garanzia non viene più da norme di legge, ma viene dalla occupabilità individuale che è sinonimo di qualificazione. Per questo nel PNRR il Governo ha puntato molto sull’innalzamento dei livelli di qualificazione professionale e di competenze, prima fra tutte la competenza digitale. Ma non solo. Si investe per l’aumento della scolarità, in particolare nella formazione post-secondaria, senza trascurare i giovani che ancora si perdono nel percorso di formazione secondaria.

Altre fratture sono di origine storica, come quella territoriale tra nord e sud del paese. Altre, ancora, sono di origine culturale, come quella di genere, tra donne e uomini, nella retribuzione ma anche nel riparto del lavoro di cura.

Purtroppo, non esiste ancora una reale condivisione tra uomini e donne dei carichi familiari e questo si rende evidente nelle differenze retributive e nelle possibilità di carriera. Anche a causa di una carente rete di servizi: penso a quelli per l’infanzia e penso anche alla non autosufficienza, tema sempre più rilevante in una società dalla curva demografica come la nostra.

Il Rapporto ci segnala anche che alcuni sostegni alla genitorialità sono ancora poco utilizzati, come il congedo obbligatorio di paternità. Certamente è un passo avanti il recepimento delle direttive UE che estendono i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare.

Sulle pensioni è partita una fase di confronto con le parti sociali. A fine anno, con la scadenza di misure come “Opzione donna” e l’ “Ape sociale”, si renderà necessario procedere al loro rinnovo perché hanno ottenuto buoni risultati. Ma dovremo anche ampliare e dare criteri di strutturalità alla platea dei lavori gravosi, per l’accesso a meccanismi di anticipo rispetto all’attuale quadro normativo.

Rimane aperto il cantiere per il superamento delle misure temporanee di flessibilità in uscita (le varie quote 100, 102, ecc.) e per la definizione di una misura generalizzata e strutturale di flessibilità “a regime”.

Quest’ultimo fronte interseca anche il tema della riduzione dell’orario di lavoro e della possibilità di un accompagnamento all’uscita dal mercato del lavoro che, senza anticipare l’età della quiescenza, possa operare invece sul versante della diminuzione delle ore come strumento di flessibilità e anche di ricambio generazionale.

Da ultimo, ma non per importanza, vi è anche il tema della previdenza integrativa, il cui sistema dovrà in qualche misura essere ridefinito tenendo conto dell’attuale situazione sociale di instabilità dell’occupazione e di un livello salariale basso, anche attraverso il rilancio di un periodo di silenzio/assenso per l’adesione ai fondi.

Questo rapporto offre al dibattito pubblico quindi elementi di riflessione su un Paese che è cambiato, sta cambiando ma in cui la richiesta di protezione sociale, soprattutto dopo la fase più acuta della pandemia rimane centrale.

Una parte fin troppo rilevante del pensiero politico mainstream tende a reagire con fastidio quando si parla di protezione. Quasi fosse l’alternativa paternalista ed assistenziale all’idea che le persone vadano liberate ed emancipate. Gli stessi preferiscono parlare esclusivamente di opportunità e di merito. A tutti loro suggerirei di leggere con attenzione questo rapporto e di fare lo sforzo di guardare la difficile fase storica che stiamo attraversando con gli occhi delle tante, troppe persone che non possono in alcun modo cogliere le opportunità o sviluppare i propri meriti. Con la Costituzione, lo Stato di Diritto e il regime democratico abbiamo sottoscritto un patto che ci impegna a non lasciare nessuno indietro. Dobbiamo ricordare sempre ma soprattutto ora che il nostro compito è proprio quello di onorare fino in fondo quel patto.

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