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Lavoro

Sentenza C-5/24 11 settembre 2025 : lavoratori disabili, periodo di comporto e obbligo di accomodamenti ragionevoli

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La Corte di giustizia UE chiarisce che il licenziamento per superamento del periodo di comporto nei confronti di lavoratori disabili deve rispettare l’obbligo di accomodamenti ragionevoli

La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (causa C-5/24) dell’11 settembre 2025 introduce un chiarimento importante in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto nei confronti di lavoratori con disabilità. Essa affronta il delicato equilibrio tra disciplina nazionale (contrattuale) del comporto e i principi anti-discriminatori sanciti dalla direttiva 2000/78/CE, specialmente il diritto all’accomodamento ragionevole.

Il caso di specie : licenziamento per assenza prolungata e riconoscimento della disabilità

La vicenda trae origine da un licenziamento attuato allorché una lavoratrice, assente per malattia per un periodo lungo, superò il limite stabilito dal contratto collettivo nazionale (comporto). Durante il periodo di assenza, ella ottenne il riconoscimento della disabilità, poi comunicato al datore di lavoro. Era quindi in gioco la questione se l’applicazione del comporto “generale” — identico per lavoratori disabili e non disabili — potesse configurare discriminazione indiretta, obbligando il datore a misure specifiche per tutelare il lavoratore disabile.

Il giudice nazionale sollevò questione pregiudiziale dinanzi alla Corte UE, chiedendo di verificare la compatibilità della normativa nazionale con i principi della direttiva in materia di parità di trattamento e obblighi di adattamento ragionevole.

Principi affermati dalla Corte UE nella Sentenza C-5/24

Attraverso la sentenza C-5/24, la Corte UE afferma alcuni principi fondamentali:

  1. Non è in sé discriminatoria una disciplina uniforme del comporto, purché non impedisca l’attuazione delle misure di accomodamento ragionevole richieste dalla direttiva.

  2. Può esistere discriminazione indiretta quando una norma astrattamente neutra colpisce in modo sproporzionato i lavoratori disabili, ad esempio perché essi sono più esposti al rischio di assenze prolungate.

  3. L’obbligo del datore di lavoro è di valutare e applicare accomodamenti ragionevoli individualizzati, salvo che essi comportino un onere eccessivo.

  4. La semplice estensione del periodo di assenza (es. aspettative generiche non retribuite) prevista dal contratto collettivo, senza valutazione individuale né personalizzazione, non può essere considerata un accomodamento ragionevole automatico.

  5. Spetta al giudice nazionale verificare la proporzionalità e adeguatezza delle misure adottate e se il datore abbia adempiuto all’obbligo di adattamento in concreto.

In sostanza, la Corte ricolloca l’attenzione non tanto sul principio che il comporto debba essere differenziato per i lavoratori disabili, ma piuttosto sul fatto che il sistema normativo e contrattuale non deve impedire la concreta attivazione di misure adeguate.

Implicazioni pratiche per datori di lavoro e lavoratori disabili

L’orientamento della sentenza produce effetti rilevanti:

  • I contratti collettivi che impongono lo stesso periodo di comporto per tutti i lavoratori non sono automaticamente contrari al diritto UE, ma non possono esonerare il datore dall’obbligo di accogliere misure personalizzate nei casi di disabilità.

  • In caso di assenza prolungata di un lavoratore disabile, il datore deve valutare adattamenti temporanei o permanenti (modifiche di mansioni, flessibilità oraria, periodi aggiuntivi individualizzati) purché ragionevoli e non eccessivi.

  • La domanda di accomodamento ragionevole può essere avanzata dal lavoratore disabile, anche se il problema della disabilità emerge in fase successiva al rapporto di lavoro o in corso di malattia.

  • Nei giudizi nazionali, il giudice deve verificare caso per caso se le misure adottate siano state sufficienti o se, al contrario, il datore ha mancato l’obbligo di adattamento.

  • Il superamento del comporto non implica automaticamente la nullità del licenziamento, salvo che si dimostri che non è stata offerta alcuna misura compensativa adeguata.

Criticità e spunti di riflessione

Alcune questioni restano aperte:

  • Determinare cosa è “ragionevole”: il confine tra adattamento obbligatorio e onere eccessivo non è sempre agevolmente tracciabile in concreto.

  • Momento temporale del riconoscimento della disabilità: può darsi che la disabilità venga certificata solo dopo l’evento di assenza. Ciò non esclude la possibilità di invocare accomodamenti retroattivi, ma complica la prova.

  • Ruolo della contrattazione collettiva: serve una revisione contrattuale che limiti l’astratta applicazione uniforme del comporto e preveda clausole più flessibili per i lavoratori con disabilità.

Conclusione: un’evoluzione del diritto antidiscriminatorio

La sentenza C-5/24 dell’11 settembre 2025 costituisce una tappa significativa nell’evoluzione delle tutele antidiscriminatorie nel mondo del lavoro. La sentenza conferma che:

  • La parità sostanziale non si ottiene con trattamenti uniformi, ma con la capacità di modulare le misure in funzione delle situazioni personali.

  • L’accomodamento ragionevole assume un ruolo centrale nel garantire che i lavoratori disabili possano effettivamente mantenere il proprio rapporto di lavoro.

  • È il giudice nazionale, nel contesto concreto, a valutare l’adeguatezza delle soluzioni adottate.

In prospettiva, datori di lavoro, consulenti del lavoro e sindacati devono rivedere le pratiche applicative del comporto, integrando procedure di valutazione individuale, modalità di richiesta e analisi preventiva degli adattamenti. Per il lavoratore disabile, la decisione rafforza la possibilità di tutelarsi anche a fronte di assenze lunghe, purché dimostri che il datore non ha predisposto misure ragionevoli.

Immagine: elaborazione artistica realizzata con IA – Intelligenza Artificiale.

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