La Suprema Corte chiarisce i limiti del potere datoriale : non serve la giusta causa per il licenziamento dei dirigenti, basta una valutazione globale che dimostri la perdita di fiducia
Con la Sentenza n. 26609 del 2 ottobre 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro ha stabilito un principio di grande importanza in tema di licenziamento dei dirigenti. La Suprema Corte ha infatti chiarito che, per legittimare il recesso datoriale, non è necessario dimostrare la giusta causa in senso stretto, come avviene per gli altri lavoratori subordinati. È sufficiente che sussista una giustificatezza del licenziamento, valutata in modo globale, purché non arbitraria e fondata sulla perdita del vincolo fiduciario che caratterizza la funzione dirigenziale.
La disciplina del licenziamento dei dirigenti
Nel nostro ordinamento il dirigente non è un lavoratore come gli altri. La disciplina del licenziamento è più flessibile rispetto a quella dei dipendenti, poiché i dirigenti svolgono un ruolo apicale, con ampi margini di autonomia e responsabilità.
Mentre per gli altri lavoratori la legge richiede la presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo oggettivo o soggettivo, per i dirigenti si parla di giustificatezza del recesso. Ciò significa che l’azienda può recedere dal rapporto anche senza la prova di un inadempimento gravissimo, purché vi siano elementi idonei a compromettere la fiducia e la credibilità del dirigente.
Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione
La vicenda che ha portato all’ordinanza 26609/2025 riguardava un dirigente di azienda coinvolto nella gestione di una commessa estera. Le contestazioni mosse riguardavano carenze nella traduzione di documenti, una valutazione tecnico-economica incompleta, sottostime dei costi e del fabbisogno di personale.
Tribunale e Corte d’Appello avevano già ritenuto che non sussistesse “giusta causa” in senso stretto, ma che il recesso fosse comunque giustificato per la compromissione del rapporto fiduciario. La Cassazione ha confermato tale orientamento, rigettando il ricorso del dirigente.
I principi stabiliti dalla Sentenza 26609/2025
Dalla decisione emergono alcuni punti fondamentali:
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Valutazione globale e non analitica
Non serve verificare ogni singola condotta in modo dettagliato. È sufficiente una visione d’insieme che mostri come l’operato del dirigente abbia inciso negativamente sulla fiducia del datore di lavoro. -
Non è richiesta l’“extrema ratio”
A differenza dei dipendenti, per i dirigenti non è necessario che il licenziamento rappresenti l’ultima misura possibile. Se la fiducia è compromessa, il recesso può essere legittimo senza ulteriori passaggi intermedi. -
La fiducia come cardine
La funzione dirigenziale si fonda sul rapporto fiduciario. Comportamenti anche non gravissimi, ma che minano la credibilità, il coordinamento o la capacità di guida, possono essere sufficienti per giustificare il licenziamento.
Implicazioni pratiche per aziende e dirigenti
La decisione apre spazi di maggiore flessibilità per le imprese, che potranno esercitare più agevolmente il recesso in presenza di dirigenti ritenuti inadeguati. Allo stesso tempo, impone ai datori di lavoro di motivare in modo chiaro e coerente le proprie scelte, per evitare accuse di arbitrarietà.
Per i dirigenti, invece, la sentenza evidenzia la necessità di mantenere elevati standard professionali, non solo nell’evitare errori gravi, ma anche nel garantire affidabilità, capacità di coordinamento e autorevolezza. La valutazione della Cassazione si concentra infatti non tanto sull’errore tecnico, quanto sulla capacità complessiva del dirigente di svolgere il proprio ruolo.
Onere della prova e motivazione del licenziamento
Uno degli aspetti più delicati riguarda l’onere della prova. La Cassazione ha sottolineato che, pur non essendo richiesta una ricostruzione analitica e minuziosa di ogni singola condotta contestata, il datore di lavoro deve comunque documentare e motivare in modo concreto le ragioni che hanno portato al recesso. In altre parole, non è sufficiente invocare genericamente la “perdita di fiducia”: occorre dimostrare, attraverso elementi oggettivi e verificabili, che il comportamento del dirigente abbia realmente inciso sul vincolo fiduciario e sull’organizzazione aziendale.
Questa impostazione, se da un lato concede maggiore flessibilità al datore, dall’altro mantiene un argine contro possibili abusi. Saranno i giudici di merito, infatti, a verificare che la motivazione non sia pretestuosa o illogica, ma proporzionata alla posizione apicale del dirigente e alle responsabilità a lui attribuite. Ne deriva che, anche senza la rigidità della “giusta causa”, la trasparenza e la coerenza della motivazione diventano decisive per la legittimità del licenziamento.
Non è necessaria la giusta causa, basta la giustificatezza del recesso
Con la Sentenza n. 26609 del 2 ottobre 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito che il licenziamento dei dirigenti si distingue nettamente da quello degli altri lavoratori. La chiave non è la giusta causa, ma la giustificatezza del recesso, che si fonda sulla valutazione complessiva del rapporto fiduciario.
Si tratta di un orientamento che avrà effetti significativi nelle relazioni industriali, ridisegnando l’equilibrio tra esigenze organizzative delle imprese e garanzie dei dirigenti. Per i giudici di merito, la sfida sarà vigilare affinché questa maggiore flessibilità non si trasformi in arbitrio, ma rimanga strumento di equilibrio tra potere datoriale e tutela dei lavoratori apicali.