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Stampa 2018, Stampa settembre 2018

Le depressioni o hollow di Mercurio ci raccontano la sua storia

Lo spiega uno studio sul pianeta Mercurio realizzato da ricercatori dell’Inaf – Istituto Nazionale di Astrofisica.

Guidato dalla ricercatrice dell’Inaf Alice Lucchetti, lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Geophysical Research: Planets. Nell’immagine, cortesia Nasa Messenger Mdis, il cratere canova, una delle tre depressioni valutate. Le altre due sono Velasquez e Dominici. Come spiega la stessa Lucchetti, “Si tratta sicuramente di un passo in avanti nella comprensione di queste strutture, e stiamo già studiando altre zone di Mercurio per capire se questo è un comportamento comune agli hollow o se le diverse regioni del pianeta possono influenzarne in maniera differente la formazione”,

Lo studio è stato pubblicato con il titolo Mercury Hollows as Remnants of Original Bedrock Materials and Devolatilization Processes: a Spectral Clustering and Geomorphological Analysis. Gli depressioni di mercurio come residui dei materiali originali di substrato e dei processi di devolatilizzazione: un raggruppamento spettrale e un’analisi geomorfologica. Gli autori sono ricercatori dell’Inaf di Padova e di Roma. Oltre alla già citata Lucchetti: M. Pajola, V. Galluzzi, L. Giacomini, C. Carli, G. Cremonese, G. A. Marzo, S. Ferrari, M. Massironi e P. Palumbo.

Mercurio e le sue depressioni

Resti brillanti del materiale rimasto dal processo di devolatilizzazione avvenuto sulla superficie di Mercurio forniscono nuove informazioni sulla storia della formazione del primo pianeta del Sistema solare. Lo mostra uno studio guidato da Alice Lucchetti dell’Inaf di Padova e pubblicato su Journal of Geophysical Research: Planets.

Con un paragone culinario, potremmo pensare a torte lievitate male che, durante la cottura, si afflosciano e, uscite dal forno ci appaiono basse e concave. In realtà sono strane e irregolari depressioni, ribattezzate hollow, individuate sulla superficie del pianeta Mercurio grazie agli strumenti della sonda Messenger della Nasa. La loro insolita conformazione e la presenza concentrata soprattutto all’interno dei crateri del pianeta ha suscitato l’interesse degli scienziati. Uno studio tutto italiano pubblicato oggi sulla rivista Journal of Geophysical Research: Planets e guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) – ci aiuta a conoscere meglio la natura di questi hollow. Alice Lucchetti, giovane ricercatrice dell’Inaf di Padova, e il suo gruppo (di cui fanno parte anche colleghi dell’Inaf di Roma) hanno esaminato nel dettaglio queste particolari strutture localizzate in tre diversi crateri presenti sulla superficie del pianeta, riuscendo a ricavare informazioni sulla composizione degli elementi chimici presenti in essi e, quindi, ottenere indizi sulla loro formazione.

Gli hollow sono strane e irregolari depressioni molto brillanti e poco profonde, solitamente presenti all’interno dei crateri di impatto, sui loro bordi e picchi centrali, la cui origine potrebbe essere legata a un meccanismo che prevede la perdita di elementi chimici volatili che si trovano sotto la superficie, un processo detto, appunto devolatilizzazione. «Determinare la natura di queste strutture è una grande sfida in quanto è estremamente complicato capirne il meccanismo di formazione», spiega Lucchetti. Le mappe geologiche di ogni cratere hanno permesso di individuare le diverse unità geomorfologiche, delineando in maniera dettagliata l’area occupata dagli hollow. I tre crateri studiati dai ricercatori sono Velasquez, Dominici e Canova. Quest’ultimo nome è stato scelto proprio da Alice Lucchetti con il suo team ed è stato ufficialmente approvato dall’Unione Astronomica Internazionale in onore del celebre scultore e pittore italiano.

L’analisi delle caratteristiche e dell’intensità della luce solare riflessa dalla superficie degli hollow ottenuta con una particolare tecnica, detta clustering, ha permesso di separare l’area di ciascun cratere in porzioni più piccole di terreno caratterizzate da una specifica “impronta” nello spettro della radiazione riflessa. Confrontando i dati provenienti da questi due canali, i ricercatori hanno trovato un’ottima correlazione tra le aree individuate dalle mappe geologiche e quelle individuate dall’analisi spettrale.

Lucchetti aggiunge: «Il punto di forza del lavoro è aver scoperto che questi tre gruppi di avvallamenti sono identificati da uno spettro simile, che confrontato con gli spettri di laboratorio, ci ha permesso di scoprire novità rispetto ai lavori precedenti. Gli spettri degli hollow sono infatti indicativi della presenza di solfuri (quali solfuri di calcio, magnesio e manganese, ipotesi già avanzata in precedenza), ma anche di pirosseni che presentano elementi di transizione, come cromo, titanio e nichel».

Per il gruppo di ricerca il risultato ottenuto è importante perché suggerisce che gli hollow non siano solo l’espressione del materiale rimasto dopo la perdita elementi chimici allo stato gassoso nella giovane crosta di Mercurio – il processo che prende il nome di devolatilizzazione – ma riflettano anche il materiale in cui si sono formati, essendo quindi rappresentativi della roccia componente la crosta primordiale del pianeta in cui si sono originati.

«Si tratta sicuramente di un passo in avanti nella comprensione di queste strutture, e stiamo già studiando altre zone di Mercurio per capire se questo è un comportamento comune agli hollow o se le diverse regioni del pianeta possono influenzarne in maniera differente la formazione», sottolinea Lucchetti. «Inoltre, lo studio degli hollow è estremamente importante e di interesse poiché questi saranno uno dei target scientifici principali che verranno osservati da BepiColombo, missione destinata allo studio di Mercurio, il cui lancio è previsto il mese prossimo. In particolare, la suite italiana di tre strumenti Simbio-Sys sarà capace di fornire ulteriori informazioni riguardanti queste strutture grazie all’acquisizione di immagini ad alta risoluzione, di spettri e di immagini stereo volte alla ricostruzione 3D», conclude la ricercatrice dell’Inaf.

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